La febbre è un sintomo e non una malattia

Ero un semplice studente ai primi anni del corso di laurea in medicina e chirurgia e frequentavo assiduamente la diciottesima divisione dell’ospedale Carlo Forlanini di Roma quando, occupandomi di ricerca bibliografica e sfruttando le mie semplici cognizioni di un'informatica allora ai blocchi di partenza, partecipai alla stesura di un articolo, poi presentato come post ad un Congresso di Medicina Interna tenutosi a Bologna, il cui titolo era “la febbre di natura da determinare”.

Da allora di strada ne ho fatta ma questo è stato, ed è tutt’ora, un argomento per me affascinante perché rende evidente la presenza di una patologia che è tutta da scoprire. Può essere espressione di una malattia acuta ma, talora, di una patologia cronica; qualche volta può nascondere anche una problematica che verrà evidenziata a distanza di mesi se non di anni.

Ricordo che l'input per quell’articolo ci venne dall'osservazione, in reparto, di un paziente di media età che manifestava uno stato febbrile a carattere intermittente; in quel caso, la ritmicità nell’insorgenza di tale sintomo era così regolare che il paziente era addirittura in grado di prevedere il giorno in cui si sarebbe manifestato il rialzo termico.

Fu studiato per mesi in tutti i modi possibili, naturalmente utilizzando i mezzi allora disponibili, senza riuscire ad arrivare ad una diagnosi certa finché, la clinica e gli esami ematochimici non fecero ipotizzare prima e confermare poi la presenza di un linfoma.

Ebbene da quel giorno, tutti insieme, approfondimmo l'argomento febbre cercando di trovare strategie utili ad individuare quanto prima, o almeno ad ipotizzare, una verosimile patologia che giustificasse l’innalzamento della temperatura corporea.

Da parte mia cominciai a percepire come effettivamente la febbre non fosse di per sé una malattia ma solo un sintomo, forse il più evidente, di uno stato patologico che poteva essere quanto mai variabile; le caratteristiche della febbre, il suo andamento nel tempo, la risposta agli antipiretici e altre varianti magari legate a dati clinici, anamnestici ed obiettivi, potevano concretamente far ipotizzare il tipo di patologia che ne fosse stato alla base.

In talune malattie sono proprio le caratteristiche dell’andamento della temperatura che generano l'ipotesi diagnostica: un esempio tipico è il moderato rialzo termico, prevalentemente serotino (nelle ore serali), che si manifesta con assiduità per diverse settimane, magari associato ad astenia, sudorazione notturna e tosse, che caratterizza la patologia cosiddetta specifica, vale a dire quella derivata dall’infezione tubercolare. Un altro tipico esempio è l'andamento della febbre nel corso della infezione malarica o, altrettanto tipico, è il picco di ipertermia caratteristico del quadro setticemico (la setticemia è un’infezione batterica presente nel sangue) che è associato spesso a brivido scuotente (brivido molto intenso). Quest’ultima caratteristica è altresì frequentemente osservabile in alcune patologie infettive di notevole gravità come la pielonefrite acuta, la colecistite o la meningite batterica; in questi ultimi casi spesso lo stato febbrile è associato a sintomi d'organo come dolore addominale, cefalea o vomito incoercibile (vomito ripetuto ed infrenabile). In ogni caso per patologie di questa entità quasi mai la risposta agli antipiretici è tale da rendere il paziente apiretico (senza febbre) o, comunque, lo stato febbrile non può essere ridotto significativamente dal farmaco somministrato.

Ma se lo stato febbrile può essere effettivamente così variegato nella sua manifestazione clinica e dà al medico una difficoltà interpretativa di tale rilevanza, qual è l'atteggiamento che il paziente deve prendere nel momento in cui si accorge di essere febbricitante?

È giustificata la chiamata al medico nel corso della notte perché improvvisamente compare una temperatura a 38 o 39 °C? Non è piuttosto sufficiente gestire il sintomo magari assumendo una piccola quantità di paracetamolo e/o, come facevano i nostri nonni, bagnare la fronte con un panno intriso di acqua?

A queste ed altre domande sarà necessario rispondere per cercare di mediare tra la trascuratezza di un profilo clinico talora di estrema gravità e un’inutile rincorso al Medico, magari di Pronto Soccorso, in piena notte e a distanza di poche ore dall’insorgenza dello stato febbrile non associato ad altri sintomi di rilievo.

Ma credo di essermi troppo dilungato nel trattare questa premessa per un sintomo della frequenza che tutti noi conosciamo e, pertanto, se di interesse per il lettore, tornerò presto su questo argomento.

Dr. Mauro Marchetti 

Specialista in Medicina Interna

 


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