Trattato in un precedente articolo l’argomento “ipertensione arteriosa”, considerata come sia importante la sua precoce identificazione e quanto il suo tempestivo trattamento sia fondamentale per evitare danni d’organo capaci di favorire gravi complicanze come l’ictus e l’infarto, andiamo ora a valutare un’altra delle possibili conseguenze a lungo termine di questa patologia quando fosse misconosciuta o trascurata.
Parliamo allora, a grosse linee, dello scompenso cardiaco che potrebbe manifestarsi tardivamente, cioè dopo un certo numero di anni dall'inizio dello stato ipertensivo, ma che potrebbe comportare la riduzione dell’aspettativa di vita oltre che un serio peggioramento della sua qualità.
Premessa fondamentale è dire che, essendo il cuore un muscolo, come tutti i muscoli dell’organismo tenderebbe ad accrescersi quando venisse sottoposto ad un significativo incremento di lavoro.
E lo stabile incremento della pressione arteriosa, genera sicuramente un sovraccarico di lavoro per il cuore cosicché, in tale condizione, la parete di quest’ultimo tenderà ad aumentare il suo spessore (ipertrofia), progressivamente nel tempo. Questo dato, talvolta sospettato anche con un semplice elettrocardiogramma, potrà essere facilmente evidenziato attraverso un ecocardiogramma che mostrerà un aumento dello spessore sia della parete libera del ventricolo sinistro sia del setto interventricolare, cioè di quella parte del cuore che divide il ventricolo sinistro dal destro.
Passando gli anni e persistendo lo stato ipertensivo, questa ipertrofia si andrà gradualmente accentuando ma lo farà senza un contestuale incremento della sua struttura micro vascolare; ciò comporterà, inevitabilmente, la riduzione di nutrimento del tessuto cardiaco che andrà incontro ad una sofferenza cronica che sfocerà, in genere tardivamente, nella dilatazione delle camere ventricolari; proprio a tale dilatazione sarà imputabile la perdita della capacità contrattile dei ventricoli e, conseguentemente, si addiverrà a quel quadro clinico definito come “scompenso cardiaco”. L’aumento volumetrico del cuore potrà allora essere evidenziato anche da una semplice Radiografia o da una TC del torace.
La dilatazione ventricolare sarà responsabile anche della contestuale comparsa di insufficienza delle valvole cardiache che, a sua volta, genererà un progressivo peggioramento della funzionalità del cuore.
In altri termini, nel cuore scompensato i ventricoli risulteranno essere flaccidi, vedranno ridotta la loro capacità di contrazione e ciò porterà alla riduzione del volume di sangue immesso nelle arterie, aorta e polmonare, durante la loro fase sistolica (contrazione).
Questa patologia, che potrà interessare inizialmente il ventricolo sinistro e/o il ventricolo destro, tenderà nel tempo a coinvolgere il cuore nella sua globalità. In ogni caso sarebbe corretto specificare nel singolo caso se si tratta di uno scompenso sinistro o di uno scompenso destro perché la sintomatologia e l’obiettività clinica, almeno inizialmente, potrebbero essere differenti.
Se volessimo analizzare le conseguenze di una ridotta capacità contrattile del ventricolo sinistro o di quello destro, ci renderemmo conto che, in entrambi i casi, è presente un aumento della pressione a monte del ventricolo considerato. Il sangue, non immesso nelle arterie per carenza della loro capacità contrattile, andrà ad accumularsi dapprima negli atrii e poi nelle vene che in essi sboccano; i vasi che fanno confluire il sangue nell’atrio sinistro sono le vene polmonari che riportano al cuore il sangue ossigenato proveniente dai polmoni mentre i vasi che sboccano nell’atrio destro sono le vene cave che drenano il sangue refluo da tutto il corpo.
Tale aumento di pressione a monte dei ventricoli, dovuto all’accumulo del sangue, sarà in grado di generare una sintomatologia differente nello scompenso sinistro rispetto al destro.
Proprio perché a monte del ventricolo sinistro ci sono le vene che drenano il sangue dai polmoni, il suo accumulo a questo livello sarà in grado di indurre difficoltà respiratoria che potrà manifestarsi con un semplice affanno durante attività fisica di differente entità ma che potrà divenire particolarmente intensa, anche a riposo, o potrà determinare il drammatico quadro dell’edema polmonare, spesso causa di morte improvvisa per insufficienza respiratoria.
Nello scompenso destro, invece, l'accumulo di sangue e quindi l'incremento pressorio sarà a carico delle vene cave che drenano il sangue dal sistema venoso periferico: la cava superiore raccoglie il sangue proveniente dal capo mentre la vena cava inferiore quello refluo da tutto il resto dell'organismo.
Questa condizione sarà allora responsabile, nel primo caso di un aumento volumetrico delle vene giugulari presenti nel collo che risulteranno essere molto più grandi della norma e, talora, pulsanti (turgore delle giugulari); nel secondo caso, l’aumento pressorio nella vena cava inferiore potrà generare un ristagno di sangue, di differente entità da caso a caso, negli organi periferici; ciò comporterà l'aumento volumetrico del fegato definito “fegato da stasi”, la presenza di liquido nelle cavità pleuriche definito “versamento pleurico”, l’accumulo di acqua negli arti inferiori che tenderanno a gonfiarsi (edema declive). Nei casi più gravi potrà realizzarsi il quadro clinico definito “anasarcatico” in cui il paziente apparirà particolarmente e diffusamente edematoso per un abbondante ristagno ubiquitario di acqua.
Nello scompenso destro le gambe gonfie lamentate dal paziente potranno essere maggiormente evidenti quando il soggetto mantenesse per parecchio tempo la posizione in piedi senza deambulare o trascorresse gran parte della giornata seduto con le gambe penzoloni: ciò si realizzerebbe esclusivamente in funzione della forza di gravità. Nel caso dell’allettamento l'accumulo di acqua, sempre per stessa ragione (forza di gravità), potrà essere più evidente in corrispondenza della regione sacrale o, talvolta, potremo evidenziare il rigonfiamento delle palpebre superiori. Quest’ultimo sintomo, quando presente al risveglio, potrebbe essere la prima spia dello scompenso cardiaco anche nel soggetto apparentemente sano.
La diagnosi di scompenso cardiaco viene in genere posta su base clinica e potrà essere ipotizzata valutando la sintomatologia e l'esame obiettivo: la comparsa di affanno di differente entità, a riposo o in relazione a sforzi più o meno importanti, l’aumentato numero di atti respiratori in un minuto (tachipnea) che superano i normali 18-20, una insolita tachicardia, la difficoltà nel mantenere la posizione supina con necessità di dormire con due o più cuscini, la presenza di gambe gonfie o di altri edemi declivi, l’aumento volumetrico del fegato con margine arrotondato, la presenza di versamento pleurico o di crepitii alle basi polmonari specie se bilaterali, il turgore delle giugulari, ecc. possono essere significativi indicatori di un incipiente problematica cardiaca a cui è necessario dare la corretta importanza e un’adeguata risposta terapeutica.
La difficoltà respiratoria sarà dovuta sia al ristagno di acqua negli alveoli polmonari sia anche all’eventuale possibile comparsa di versamento pleurico; contestualmente potrà essere evidenziato un calo più o meno significativo della saturazione in ossigeno dell’emoglobina (SpO2) facilmente documentabile utilizzando il saturimetro, strumento che ha ottenuto un particolare successo ed una inaspettata diffusione con l’avvento del Covid.
Un ausilio alla diagnosi e al monitoraggio clinico dello scompenso cardiaco potrà essere fatto dal medico attraverso il controllo di alcuni parametri ematochimici e strumentali come il dosaggio plasmatico del Pro BNP e la valutazione della Frazione di Eiezione (FE) all’ecocardiogramma. Quest’ultimo parametro che esprime percentualmente la capacità contrattile del ventricolo sinistro risulta essere normale se superiore al 60/65%, esprime un quadro di scompenso se inferiore al 50% ma potrebbe arrivare al 15% laddove fosse presente una particolare gravità clinica.
Altro elemento di valutazione dello scompenso cardiaco, anch’esso indicatore della gravità del processo patologico, sarà la classificazione NYHA che, basandosi sulla severità della difficoltà respiratoria del paziente in esame, viene graduata in quattro differenti classi: dalla 1^ alla 4^ per gravità crescente.
Una volta che il quadro dello scompenso cardiaco si fosse manifestato, difficilmente potremmo riportare il cuore ad un normale volume e ad una sua normale contrattilità; potremmo intervenire unicamente cercando di scaricare il circolo con l’utilizzo dei diuretici e potremmo, semmai, cercare di migliorare la progressione della patologia, e quindi la prognosi, attraverso l’uso di farmaci come i beta bloccanti laddove questi non fossero controindicati per la concomitanza di altre patologie.
L’andamento clinico potrebbe essere favorevole se il trattamento consigliato dal medico fosse seguito con attenzione e, in tal caso, potrebbe esserci una lunga sopravvivenza con una qualità di vita altrettanto accettabile.
Stiamo considerando lo scompenso cardiaco come indotto da uno stato ipertensivo che dura da anni e che, verosimilmente, è stato trascurato perché diagnosticato tardivamente o perché è stato trattato in modo inadeguato. In realtà, le cause di questa patologia potrebbero essere anche altre: potrebbe trattarsi dell’evoluzione di una grave valvulopatia dovuta a malformazioni presenti alla nascita (stenosi o steno insufficienza valvolare) o legate a malattie infettive (tonsilliti streptococciche, miocarditi, ecc.); a volte potrebbe essere la conseguenza di una cardiopatia ischemica (infarto del miocardio). Talvolta, gravi forme di patologia polmonare (BPCO) potrebbero essere all’origine dello scompenso destro.
A prescindere dalla causa iniziale, lo scompenso cardiaco potrebbe essere associato, come causa o come conseguenza, ad un’aritmia definita “fibrillazione atriale” che potrebbe peggiorarne la manifestazione clinica complessiva.
In conclusione, fermo restando che lo scompenso cardiaco potrebbe essere la conseguenza anche di altre patologie sia cardiache che polmonari, sarà necessario sottolineare ancora una volta come, vista l'importanza dell’ipertensione arteriosa nella genesi di questa malattia, identificare precocemente e trattare adeguatamente e con continuità lo stato ipertensivo potrà essere di fondamentale importanza per contenerne ed allontanarne l’insorgenza.
Dr. Mauro Marchetti
Specialista in Medicina Interna